Natale, capodanno, è tempo di feste! E cosa si fa durante le feste oltre a mangiare fino ad agognare una morte rapida e indolore?
Si rispolverano i grandi classici!
Che grande Nanni Moretti. *tira un sospiro malinconico* L’altro giorno, da bravo bambino che si è comportato bene tutto l’anno, mi sono regalato 4 suoi DVD trovati in offertissima a tre euro l’uno in un negozio senza ombra di dubbio a norma di legge vicino casa. Credeteci. Sono tornato a casa felicissimo.
Uno dei DVD è quello di Sogni d’oro, da cui è tratta la scena di cui sopra che potrei, o potrei non, aver utilizzato in altre recensioni sul blog. Ma che volete? È bellissima, riassume perfettamente, con simpatia e il giusto grado di disagio, un sentimento universale che sembra valere soprattutto per i cinefili, ma che in realtà vale per tutti. È adatta praticamente a qualsiasi discorso che avete mai fatto, state facendo o farete, ieri, oggi e domani, con qualsiasi persona. Il che rende il suo utilizzo un po’ una paraculata. Ma questa è un’altra storia.
Nel nostro caso, questa breve clip ci serve per ribadire che il Cinema è una cosa importante, che Star Wars è una cosa importante e che vaffanculo non ne posso più dei vostri problemi con la suola delle scarpe di Luke Skywalker che non rispecchia fedelmente la descrizione implicita che si evince dal trentaquattresimo romanzo della dodicesima saga del settimo ciclo di storie che al mercato papà Lucas vendette per mezzo triliardo di dollari.
Episodio VIII: Gli Ultimi Jedi è film molto buono e anche un eccezionale capitolo della saga di Star Wars.
Procediamo con ordine. Seguono spoiler a profusione sul film.
Il cinema è per tutti. Star Wars è per tutti. Ognuno è libero di avere il proprio pensiero su qualsiasi cosa e ha il dovere di rispettare il pensiero degli altri. Però, signora mia, questi giovani di oggi dicono una marea di cazzate che non se ne può più. Per non fare il vago a sto giro ho deciso di sporcarmi le mani andando a rispondere dritto pe’ dritto alle lamentele più insistenti che sono state scagliate con violenza contro Gli Ultimi Jedi.
Tremate: “mi hanno dato fastidio tutte quelle battutine del cà e quei pupazzi di mè”, “è troppo un film Disney”, “vogliono solo vendere giocattoli!!11!1” (la mia preferita), “è ridicolo come hanno ammazzato Snoke”, “la scena nella città/casinò è inutile e noiosa”, “inventa troppe cose”, “non ci sono contenuti originali, è una copia di L’impero colpisce ancora”, “la forza è spiegata malissimo”, “questo pianeta nuovo l’ho già visto”, “non ha senso”, “non è Star Wars”, “mi manca Jar Jar Binks”, “quella scena è la copia del mio sfondo del desktop”, “chi sono io? cosa ci faccio qui?”, “non avrebbero dovuto uccidere Ned Stark così presto”, “quando arrivano i Klingon?”, “MARIARITAAAA“, ecc.
Chiariamo innanzitutto una cosa fondamentale: Star Wars è forse il più grande franchise crossmediale e transmediale di sempre dopo il Cristianesimo, e i film che compongono l’arco narrativo principale di questo universo sono pensati e realizzati (così come in buona parte anche il Cristianesimo) per catturare l’attenzione dei più piccini, di quegli under 14 che tra trent’anni vorranno ancora vedere film di Star Wars e non desidereranno altro che prendere in mano il franchise per fare gli Episodi 37, 38 e 39 e garantire la sopravvivenza di baracca e burattini. Per una volta (capita meno di quanto si pensi) sono d’accordo con George Lucas himself quando dice che Star Wars è per bambini e che certi fan fanno fatica ad accettare la cosa. Ovvio, lui scivola subito nell’egomania parlando dell’esaltazione che prova quando un bimbo gli allunga la mano per toccarlo manco fosse Gesù Cristo sceso in terra per salvarci dalla noia di questo mondo. Però il succo è quello:
“Friendships, honesty, trust, doing the right thing, living on the right side and avoiding the dark side. (…) Those are the things it was meant to do.”
Il trucco è metterci il massimo della professionalità e del talento per realizzare qualcosa che possa piacere tranquillamente anche agli adulti senza che questi se ne vergognino.
La nuova saga targata Disney e supervisionata dall’essere umano con i cojones più grossi di tutta Hollywood, la mitica Kathleen Kennedy, cerca di fare esattamente questo (a mio avviso riuscendoci in pieno), tenendo però conto che non siamo più nel 1977, che il mondo è cambiato, il pubblico per certi versi è molto cresciuto e non sopporterebbe più una trama così semplice e un’identificazione così chiara del bene e del male come la si poteva fare quarant’anni fa. E allo stesso tempo non si rinuncia ai siparietti comici, agli animaletti simpatici e a quel senso di leggerezza fondamentale all’interno di Star Wars ma anche in tutto il cinema per ragazzi da Spielberg in poi. Senza tutto questo Star Wars non esisterebbe: pretendere un film di Star Wars che – banalizzo – non tenti di vendere anche giocattoli è un controsenso di quelli pesanti e sintomo di una grave miopia. Se non vendessero giocattoli non potrebbero fare più film, o almeno non potrebbero farli più così grossi. Semplice.
Non mi piace fare discorsi ipotetici, ma credete davvero che un’altra qualsiasi delle major hollywoodiane avrebbe potuto far meglio della Disney? Mai come oggi faccio molta fatica a immaginare un tale scenario.
I Porg possono piacervi o non piacervi, ma sono senza dubbio coerenti con l’universo starwarsiano al cinema. Non necessitano assolutamente di una funzionalità narrativa, devono solo essere carini e coccolosi e piacere ai bambini. Cosa che vale ovviamente per tutte le creature presenti nel film, che non sono mai realmente inutili, perché potranno non interferire in alcun modo con la trama, ma evocano quelle suggestioni che costituiscono la base del fascino di tutto Star Wars. Se non accettate questo e volete fare i raffinati che non si lasciano ingannare dagli sporchi meccanismi del capitalismo americano, tornatevene a vedere i film di Ferzan Ozpetek con tutto il vostro disincanto postmoderno e puppate la fava.
Ma se c’è un aspetto sotto il quale Gli Ultimi Jedi è un vero trionfo è proprio il suo riuscire a scrollarsi di dosso tutto il peso della sua stessa enorme mitologia per dare a tutta la nuova trilogia una propria identità e una propria strada da battere. In quarant’anni Star Wars si è imposto nella cultura pop mondiale fino a dominarla, a diventare una vera e propria religione per alcuni e a suscitare improbabili accuse di femminismo per altri. Quello che Rian Johnson e soci hanno avuto il coraggio di fare è stato aggiornare la lotta tra lato oscuro e lato chiaro della Forza, sfruttando bene gli eccezionali spunti di partenza offerti da Il Risveglio della Forza (The Force Awakens, da ora in poi TFA), per offrirci qualcosa di nuovo, fresco, attuale, credibile e di grande intrattenimento.
Kylo Ren è in tal senso l’elemento più interessante di tutto il progetto: il primo personaggio nella storia di Star Wars che vuole resistere alle tentazioni del lato chiaro della forza e non viceversa come eravamo abituati a vedere. Questo, unito al fatto che l’attore che lo interpreta è forse l’unico attore vero del cast (ogni sguardo che fa combina almeno due emozioni diverse, se non di più, ma anche i movimenti del corpo sono i migliori per credibilità/stilizzazione), lo rende un personaggio fuori da qualsiasi schema, imprevedibile, e quindi affascinante. Non è il cattivo che fa il cattivo perché è cattivo. Quello era il ruolo di Snoke, molto simile a quello di Palpatine e compagnia bella, e non a caso è stato fatto fuori in una maniera estremamente funzionale al racconto.
Ma è interessante pure il lavoro fatto su Rey, sebbene abbia un arco narrativo ben più prevedibile, e su Luke. Già a partire da TFA, Rey incarna in tutto e per tutto il pubblico dei più giovani, quelli che hanno da poco scoperto Star Wars e vogliono essere parte di questa grande storia (entrambi i film sono stracolmi di riferimenti meta). La scoperta dei suoi genitori è quindi la più difficile da accettare e, in un’ottica di identificazione totale col personaggio, serve a rendere il film il romanzo di formazione che deve essere. Allo stesso modo, è molto apprezzabile la coerenza con cui hanno trattato il personaggio di Luke Skywalker se pensiamo a quanto era inetto e anche un po’ tentato dal lato oscuro nella trilogia originale. Il modo in cui la sua leggenda e le voci che circolano sul suo conto si scontrano brutalmente con la realtà della persona-personaggio, non proprio l’eroe senza macchia e senza paure di cui si parla, è un’altra di quelle batoste necessarie a farci tornare con i piedi per terra, pur restando nello spazio. AHAHAHAH NELLO SPAZIO!!11! CAPITO LA BATT-Ma soprattutto ci prepara all’incontro con il maestro Yoda in quella che è a mani basse la scena più bella ed emozionante di tutto Gli Ultimi Jedi.
Guardate, non è facile sedersi a una scrivania oggi, nel 2017, e scrivere nuove battute per quello che è la saggezza fatta pupazzo, uno dei personaggi più saggi della narrativa mondiale, ma anche uno dei più grandi maestri di vita di sempre con tutti i limiti che un personaggio fittizio può avere. Rian Johnson c’è riuscito. Nel 2017. E qui potrei elencarvi tutte le sue battute copia-incollandole da imdb, ma quello che ci tengo a sottolineare è che nel momento di maggiore depressione per Luke, Yoda gli ride in faccia e lo prende per il culo, perché la vita va presa sempre sorridendo, anche nel fallimento e nelle difficoltà. Una lezione che detta così sembra la più retorica delle puttanate, ma che quel pupazzo maledetto rende estremamente concreta e meravigliosamente valida.
I meriti di Johnson non si fermano ovviamente qui. Per una volta in questa saga leggendaria fatta tutta di immagini pazzesche, la sceneggiatura ha un ruolo fondamentale. Innanzitutto, il film non finisce quando pensiamo stia per finire perché per la prima volta nella saga spunta fuori un bel quarto atto (fino ad ora ci avevano abituato ai tradizionali 3: introduzione dei personaggi, sviluppo del conflitto, risoluzione della storia), ma in generale si gioca moltissimo con le aspettative degli spettatori sia in quanto film di Star Wars (es: la fine di Snoke, che tutti pensavano sarebbe stato il cattivissimo finale), sia in quanto film d’avventura in generale (es: il fallimento del piano di Finn e Rose). E infatti in questo film succedono un sacco di cose, molte delle quali importantissime per la trama dell’intera trilogia, e il grado di coinvolgimento è piuttosto elevato, le emozioni sono tante e alla fine se ne esce abbastanza provati, nel bene e nel male.
Sul finale il film riprende anche le fila del discorso iniziato e approfondito a dovere da Rogue One circa il sacrificio personale per il bene degli altri: muoio io, così che gli altri e quelli che verranno dopo di me possano vivere e possano vivere meglio. E non parliamo soltanto della morte di comparse o di eserciti che non conosciamo e non vediamo (che pure muoiono e rappresentano un peso maggiore del solito per i protagonisti e per noi), parliamo del sacrificio dei protagonisti (tutti in Rogue One, qui Luke, Holdo e Finn che sopravvive solo per un intervento esterno, ma la decisione l’aveva presa). In tutto Gli Ultimi Jedi aleggia l’ombra della morte, inevitabile e sempre più vicina. Alla faccia del film Disney e del vendere giocattoli.
Non mi sembra ci sia neanche granché di cui lamentarsi sulla struttura del film che ricalca quella de L’impero colpisce ancora, ma in una maniera sicuramente più nascosta e intelligente rispetto a quanto fatto da Abrams con Il Risveglio della Forza che purtroppo ricordava troppo facilmente Una nuova speranza. E dico “purtroppo” perché in realtà i due film erano diversissimi, così come lo sono Gli Ultimi Jedi ed Episodio V, ma qualcuno si è comunque sentito in diritto di dire che erano uguali e che la cosa fosse inaccettabile. Eh, belli miei, che vi devo dire… penso che quanto scritto finora renda abbastanza l’idea. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, considerando quanto detto finora (ci torneremo anche più avanti), Gli Ultimi Jedi, sempre sulla scia di TFA, riflette sulla sua stessa natura, su cosa possa essere oggi Star Wars, una saga nata quarant’anni fa da tutt’altre premesse. In questo modo il film si inserisce in un discorso di decostruzione del mito che affonda le proprie radici in Sergio Leone e nella sua decostruzione totale del western, fattasi a sua volta leggenda con l’intramontabile C’era una volta il West. Rian Johnson qui fa più o meno lo stesso, in misura nettamente minore (non esageriamo) rispetto a quanto fatto da Leone. Si tratta di cinema che riflette su se stesso, una roba che oggi è relativamente facile da fare se devi girare un film indipendente con quattro spicci, ma una roba da capogiro per un film Disney da 200 milioni di dollari di budget, pensato per incassarne ben più di un miliardo.
Semmai, l’unico appunto che si può fare a Rian Johnson riguardo Gli Ultimi Jedi riguarda proprio la fattura del film, nettamente inferiore a quella de Il Risveglio della Forza che rimane il migliore della saga finora (incluso Rogue One) soprattutto grazie a quei 40 minuti iniziali che sono semplicemente perfetti e letteralmente da mozzare il fiato. Qui Johnson dilata i tempi a suo piacimento e si prende la libertà di sbroccare a un certo punto come già fece con Looper, inserendoci un quarto atto impensabile. E non è che ci siano errori gravi di regia, si tratta per lo più di dettagli insignificanti che però danno leggermente fastidio all’occhio: qualche inquadratura angolata male, qualche brutto primo piano, ma anche troppi primi piani, un montaggio non delicatissimo e scene d’azione un po’ confuse, un po’ che guardano nel punto meno interessante. Più significativa è la difficoltà di Johnson ad amalgamare bene l’azione, l’adrenalina e la tensione con i momenti più comici e quelli più drammatici (cosa in cui Abrams si era dimostrato un maestro). C’è insomma una separazione un po’ troppo netta tra questi momenti che per fortuna la sovrabbondanza di eventi sfasciamascella fa pesare meno del previsto.
Vera nota dolente del film: il momento alla Superman di Leia che è abbastanza inguardabile.
Tutto questo senza negare che ci sono diversi momenti davvero molto belli da guardare e riguardare. Dall’utilizzo del colore rosso nella stanza di Snoke (il combattimento di Rey e Kylo contro le guardie è diretto molto bene, sono riusciti a rendere chiari e convincenti tutti i movimenti e a nascondere al meglio le parti più violente senza farcelo pesare troppo) o sul pianeta di sale (che non ha motivazioni per essere rosso, ma è fighissimo e quindi va bene) alle evidenti influenze nipponiche di Kurosawa (tutto il quarto atto) e anche dei manga più moderni (quando Laura Dern vestita malissimo si schianta contro l’ammiraglia di Snoke c’è un momento di silenzio in cui l’immagine si ferma e sembra di guardare una tavoletta di un fumetto qualsiasi giapponese).
In conclusione, tutti questi stravolgimenti di trama e di idee, queste caratterizzazioni dei personaggi, gli Jedi che non esistono più (CAPITOOO) e la democratizzazione della Forza (BOOOM!) (anche se per certi versi era inevitabile, qualcuno ha detto Trump?) e così via… tutto questo può sembrare un tradimento dello spirito e della natura di Star Wars, ma in realtà è l’esatto opposto (vedi Leone). È un passo in avanti (mai sentito parlare di passi in avanti? No? Ci credo) coerente, ben gestito e soprattutto imprescindibile, come dicevamo prima, per ribadire tutto l’affetto di questo mondo per questa impareggiabile saga che ha bisogno di nuova linfa vitale per continuare ad andare avanti. Certo, si poteva raggiungere lo stesso risultato prendendo mille altre strade, ma francamente non ho nulla di cui lamentarmi. Poteva andarci molto peggio e faccio fatica a nascondere l’ammirazione per il coraggio e l’intelligenza con cui è stato gestito il progetto finora. Che poi è tutto riassunto in una frase che Kylo Ren dice a Rey (ancora riferimenti meta) per convincerla a passare al lato oscuro:
The Empire, your parents, the Resistance, the Sith, the Jedi… let the past die. Kill it, if you have to. That’s the only way to become what you are meant to be.
Una frase che sembra scritta apposta per quanti avrebbero rivendicato e rivendicano un forte attaccamento al passato della saga e che vedono Gli Ultimi Jedi o troppo uguale a cose già viste o troppo diverso e quindi blasfemo. E ovviamente non è una frase che vale solo per Star Wars… ed ecco che torniamo alla narrativa di formazione e all’ennesima dimostrazione che questo sia un ottimo prodotto di intrattenimento adatto a tutti, ma straconsigliato ai più giovani.
Jeez, ho scritto troppo e potrei non aver risposto in maniera diretta a tutto, ma con un piccolo sforzo potreste anche risolvere da soli i buchi restanti. Sempre nella speranza che sia stato abbastanza chiaro.
Ora vi saluto che vado a mettere sul curriculum che ho scritto una recensione di tremila parole sul nuovo Star Wars cominciando da Nanni Moretti.